Sunniti contro Sciiti o Arabia Saudita contro Iran?

L’inizio del nuovo anno ha riportato l’attenzione mondiale sullo scontro secolare tra sciiti e sunniti. Il 2 gennaio l’Arabia Saudita ha eseguito la condanna a morte di quarantasette detenuti. Tutti quanti accusati di aver partecipato ad attacchi terroristici conferiti ad al Qaeda. Tra i morti anche il religioso sciita Nimr Baqr al-Nimr, sceicco di Al-Sharqiyya. Situata nell’est dell’Arabia, è la provincia nella quale si trovano la maggior parte dei giacimenti di petrolio.

La morte dell’imam ha causato la rabbia di Teheran e le proteste di tutte le fazioni sciite presenti in Iraq, Yemen, Bahrein e in molti altri paesi musulmani. L’Arabia Saudita ha definito l’Iran come “Stato che sostiene i terroristi”, il ministro degli esteri Adel al-Jubeiri ha affermato che le relazioni diplomatiche tra i due stati sono sospese. Nel frattempo a Teheran l’ambasciata saudita è stata messa a ferro e fuoco, l’Ayatollah Khamenei ha tuonato contro i sauditi, affermando: “la vendetta divina li colpirà”.

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Iracheni sciiti in protesta per la morte dell’Imam Nimr Al-Nimr

Tensione altissima tra i due paesi mediorientali, una crisi che sembra provocata a tavolino, utilizzando come pretesto la religione. La quale in questo caso ricopre sì un ruolo molto importante, ma non dobbiamo considerarla come la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Analizziamo però la differenza teologica tra i due paesi. La questione che li divide è fondamentale nella religione islamica, ed è sempre stata motivo di scontri e attriti. I musulmani si dividono in due principali rami: sunniti e sciiti. I sunniti costituiscono la maggior parte della popolazione islamica, quasi l’80% a discapito degli sciiti che rappresentano il 15%.

Per capire la differenza bisogna partire dal significato dei termini. Sunnita significa “il popolo delle tradizioni”, ed è ritenuta la scuola di pensiero più ortodossa e tradizionale dell’Islam. Sciita invece significa “sostenitori di Ali”. L’argomento che divide le due scuole religiose è la successione di Maometto. Dopo la morte del profeta i sunniti iniziarono a sostenere che il nuovo leader della comunità potesse essere Abu Bakr, che non era un discendente di Maometto. Secondo gli sciiti invece, il successore doveva essere un erede famigliare del profeta.

La maggior parte degli sciiti vive in quattro Paesi: Iran, Pakistan, India e IraqNei Paesi a maggioranza sunnita essi appartengono spesso alle classi sociali più basse e vengono frequentemente perseguitati, sottomessi e umiliati. Tutto questo non fa altro che aumentare il loro senso di oppressione, che ha radici profonde nella storia.

Sunni-Shia-Ibadi

Area di diffusione dell’Islam

Nonostante l’abissale differenza tra i due paesi, entrambi sono accomunati dalla pratica della pena di morte. Quest’ultima eseguita da Riad all’inizio di gennaio è stata la più grande esecuzione di massa dal 1980. Entrambi gli stati sono nella lista nera dei maggiori esecutori mondiali. Quante sono le responsabilità della religione in questa crisi? Possiamo dire che sono praticamente nulle. In quanto le tensioni tra sunniti e sciiti vanno avanti da anni ormai. La religione è diventata elemento indispensabile per mascherare gli scontri geopolitici. Il protagonista principale di questa situazione è l’Arabia Saudita, la quale negli ultimi tempi ha visto il suo ruolo centrale nel medio oriente, incominciare a vacillare. Ad approfittarne sembra proprio che possa essere il nemico giurato di sempre, l’Iran.

Facciamo un po’ di passi indietro nella storia. Il 1979 è un anno cruciale per lo stato persiano, l’anno della rivoluzione Khomeinista, con l’allontanamento dello Scià Pahlavi e il ritorno in patria dell’Ayatollah Khomeini. Da quel momento Teheran è stata sempre vista come il nemico. Nel frattempo i sauditi, maggiori produttori di petrolio fino a pochi anni fa, concludevano importanti accordi commerciali con gli Stati Uniti d’America. I quali, accecati dall’oro nero, per anni hanno fatto finta di niente di fronte alle violazioni dei diritti umani effettuate dallo stato arabo.

Il quadro è completamente cambiato negli ultimi tempi. L’accordo sul nucleare tra USA e Iran, stipulato l’anno scorso, ha rimescolato completamente le carte. Inoltre, è notizia di questi giorni, gli Stati Uniti hanno cancellato quasi tutte le sanzioni nei confronti di Teheran, grazie proprio alla capacità dello stato persiano di mettere a punto le misure previste dall’accordo nucleare.

Questo importantissimo patto permette allo stato persiano di poter dire la sua nel mercato del greggio, avendo la possibilità di potersi intromettere in un mondo che era totalmente sotto il controllo saudita. Come se non bastasse, da qualche anno gli USA stanno puntando molto sullo Shale Oil, tanto da essere diventati il maggior produttore di petrolio al mondo. Questo spiega la continua diminuzione del prezzo del greggio, arrivato a 27,86 dollari al barile. Il punto più basso degli ultimi dieci anni. La supremazia della famiglia al-Saud inizia a tremare e per la prima volta a Riad si parla di deficit pubblico; considerando il continuo abbassamento del prezzo del petrolio e l’ingente somma spesa dallo stato arabo in armi, il futuro non promette bene.

Oltre all’economia, c’è anche la politica in questa crisi. In questa immagine sono ben visibili le aree di influenza di Iran e Arabia Saudita e la divisione tra sciiti e sunniti nei paesi medio orientali.

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In questo ambito la situazione è più complessa. Washington e Riad hanno lo stesso obbiettivo da anni, rovesciare il governo sciita di Bashar al-Assad. Il quale però è supportato da Teheran e dalla Russia, che gli permettono di mantenere il potere, mandando in frantumi la volontà arabo-americana. Inoltre l’Iran appoggia sia gli Houti in Yemen, che Hezbollah in Libano, in funzione anti-sunnita. La condotta violenta intrapresa dall’Arabia Saudita preoccupa e non molto, dopo aver attaccato gli sciiti nello Yemen (provocando una guerra ignorata dall’occidente) e la massiccia uccisione dei quarantasette detenuti, spirano brutti venti di guerra nella zona del golfo. Ed è bene che l’occidente intervenga per placarli.

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